Aracne, la donna che divenne ragno

Il mito della giovane tessitrice della Lidia che per punizione viene trasformata in ragno – narrato per la prima volta da Ovidio nelle 'Metamorfosi' – s’intreccia con più fili ed elementi della civiltà greca e universale: la condanna della superbia, i limiti imposti agli umani, la creazione e la condizione femminile

A Ipepa, umile villaggio nell’antica Lidia, in Asia minore, vive Aracne, figlia del tintore di porpora Idmone di Colofone. La sua abilità nel lavorare la lana è talmente ammirata e idolatrata che tutti, perfino le ninfe del fiume e dei vigneti, si recano da lei per osservare come dalla spola e dal telaio prendono vita immagini superbe e dai colori vivaci. La popolana Aracne inizia così a credersi più brava degli dèi, a spingersi oltre i suoi limiti di donna e di essere umano. Quando la fama delle sue prodezze giunge alle orecchie di Atena, la dea si traveste da anziana per ammonirla e consigliarle di non perdere l’umiltà, rispettando i confini tra dèi e uomini. Racconta Ovidio nelle Metamorfosi che Aracne le risponde in malo modo, e quindi la dea sceglie di mostrarsi in tutto il suo abbacinante splendore e sfidarla.

'La trasformò in ragno'. Illustrazione di Walter Crane per il libro 'The story of Greece: told to boys and girls' (1914) di Mary Macgregor

'La trasformò in ragno'. Illustrazione di Walter Crane per il libro 'The story of Greece: told to boys and girls' (1914) di Mary Macgregor

Foto: Pubblico dominio

La sfida tra dea e mortale

Le due donne, la mortale e la divina, si mettono all’opera: intrecciano porpora e oro per due trame diverse. Quella di Minerva (così Ovidio, latino, si riferisce alla dea greca Atena) esalta la grandezza degli dèi e la punizione dei superbi. Quella di Aracne narra invece le volte in cui i numi – Giove, Febo, Nettuno – hanno abusato del loro potere trasformandosi in animali e violando fanciulle indifese. Una metamorfosi denunciata all’interno di un’altra metamorfosi. Minerva perde la pazienza, sia perché la tela di Aracne è perfetta, colorata e vivida quanto la sua, sia perché il gesto della giovane è un chiaro affronto. La colpisce con la spola, e lei corre a suicidarsi per la vergogna. Solo allora la dea della ragione, delle arti e delle armi si pente, decidendo di trasformarla in un ragno.

L’anatema è spietato: «Vivi pure, ma penzola, malvagia, e perché tu non stia tranquilla per il futuro la stessa pena sia comminata alla tua stirpe e a tutti i tuoi discendenti!». Ecco che gli arti diventano zampe sottili, e il corpo di Aracne si fa sempre più piccolo. La giovane sarà destinata a tessere per l’eternità appesa ai rami, alla mercé del vento e delle intemperie, e a forgiare trame di un solo, triste colore.

La tela, la donna e il ragno

Sono diversi i passaggi e gli elementi che rimangono impressi di quest’affascinante e meno nota metamorfosi narrata da Ovidio e accennata da Virgilio nelle Georgiche. Gli stessi elementi hanno poi influenzato la particolare evoluzione della vicenda mitica, di cui è invece assai difficile ricostruire le origini. Nel mondo greco non compaiono infatti accenni a tale leggenda, né in opere letterarie né nelle arti plastiche, e alcuni studiosi credono che il mito affondi le radici nella Lidia. Nella tradizione greca Aracne non è quindi presente, mentre figurano due aspetti del suo mito: la tessitura e il ragno.

'Le filatrici (La favola di Aracne)' di Diego Velázquez. 1657. Museo del Prado

'Le filatrici (La favola di Aracne)' di Diego Velázquez. 1657. Museo del Prado

Foto: Pubblico dominio

Cosa vi è di più femminile della tessitura? Destinate a un’esistenza di recluse nel gineceo, le donne tessono e cuciono senza tregua, per sé, per i mariti, per i figli. Nell’Iliade la prima immagine della bellissima Elena la coglie mentre tesse nella reggia di Priamo; Penelope è la grande tessitrice dell’Odissea; Arianna si affida a un filo per guidare Teseo fuori dal Labirinto; le tre Moire tessono tirano e tagliano il filo che corrisponde alla vita di ogni essere. Sono tutte donne, e tutte rispecchiano l’arte femminile per eccellenza, che nel mondo reale, non nel mito, veniva praticato con dedizione all’interno delle case, mentre gli uomini potevano uscire, divertirsi e dedicarsi a qualsiasi attività.

E poi c’è il ragno, che sin da Democrito di Abdera, filosofo vissuto a cavallo tra il V e il IV secolo a.C., viene associato alla tessitura: è lui l’animale che ha trasmesso una simile arte agli umani. Ragno e donna, quindi. La particolarità del mito di Aracne è la seguente: prima il ragno è associato alle donne, in seguito nasce la figura di Aracne, che da ultimo è destinata a divenire ragno. E paga per aver peccato di hybris – tracotanza – giacché si è ritenuta uguale o superiore agli dèi e ne ha messo a nudo le colpe. E perché, in fondo, non si è rassegnata alla condizione di donna umile – il padre era un semplice tintore – e non ha voluto sottomettersi alle maglie dell’anonimato femminile dell’epoca. Aracne desidera essere conosciuta e riconosciuta, ambisce a superare i limiti imposti. Con il tempo, nel sottotesto della vicenda si delinea quindi una critica: la donna può essere elogiata finché rimane nei confini di ciò che le è permesso, e in tale ambito può essere abile quanto l’animale tessitore per eccellenza. Non appena, però, prova ad affermarsi, assume le sembianze dell’animale, ora degradato a fragile e modesto.

'Aracne mentre tesse'. Miniatura di Robinet Testard. Manoscritto del 'De mulieribus claris di Boccaccio'. 1488-1496 circa. Bibliothèque nationale de France

'Aracne mentre tesse'. Miniatura di Robinet Testard. Manoscritto del 'De mulieribus claris di Boccaccio'. 1488-1496 circa. Bibliothèque nationale de France

Foto: The Print Collector / Heritage Image / Cordon Press

Tutti questi fattori avrebbero potuto condurre l’Aracne ovidiana a ergersi quale eroina coraggiosa, come è successo nel caso di altre figure mitiche, quali Antigone o Medea. Eppure le vie che il mito prende sono ben diverse. Benché alcuni studiosi abbiano intravisto nella narrazione di Ovidio una metalettura, la similitudine con l’artista, destinato a tessere le proprie trame sotto lo sguardo vigile e vendicativo di un potente – tema che tornerà in varie forme nella pittura –, nel mondo romano e poi in quello medievale e rinascimentale prevale invece una lettura piana e moralizzante, ostile ad Aracne.

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Aracne nel mondo cristiano tra Medioevo e Rinascimento

L’immensa fortuna di Ovidio nel Medioevo fa sì che i suoi racconti vengano letti come allegorie, con una morale ben precisa nella quale i valori antichi sono sostituiti con quelli cattolici, come insegna un testo dalla grande diffusione, l’Ovide moralisé (primi anni del XIV secolo). Aracne si muove quindi con le sue zampe sottili da ragno nel corso dei secoli. Per esempio, Dante ne fa cenno nel XII canto del Purgatorio, quando l’incontra nella prima cornice, dei superbi, e afferma: «O folle Aragne, sì vedea io te / già mezza ragna, trista in su li stracci / de l’opera che mal per te si fé».

Nel contesto cristiano la giovane lidia continua a essere monito contro la superbia, la stoltezza, la miscredenza. Nel De mulieribus claris (1362) Boccaccio le riconosce una «somma stoltizia», e il letterato Giovanni Bonsignori riassume quanto nelle varie versioni moralizzanti di Ovidio si legge su Aracne: «L’uomo savio sempre studia in laudare e predicare Dio. Per Aragnes intendo l’uomo e la donna, li quali non vogliono laudare Idio e contendono con li savi» (Ovidio Metamorphoseos vulgare, 1375-1377).

Aracne nell’incisione di Gustavo Doré per il dodicesimo canto del 'Purgatorio' di Dante

Aracne nell’incisione di Gustavo Doré per il dodicesimo canto del 'Purgatorio' di Dante

Foto: Pubblico dominio

La sfumatura femminile del mito di Aracne ritorna preponderante nella Città delle dame (1404-1405), opera della prima donna scrittrice di professione in Europa, Christine de Pizan. Stavolta Aracne si riprende da secoli passati, e futuri, di rimproveri e moniti per divenire una delle fondatrici di una città utopica delle donne. Nel XXXIX capitolo della Città delle dame, Christine de Pizan elogia la popolana d’Ipepa, «meravigliosamente intelligente e abile». Aracne non avrebbe solo inventato la scienza di coltivare la canapa e il lino, avrebbe inventato pure come lavorarli. Non solo: si sarebbe spinta ben oltre fabbricando reti, lacci e retini per cacciare gli animali. Chiosa Christine de Pizan: «Mi sembra che questa donna abbia reso un favore non piccolo all’umanità». Al di là dell’esagerazione nell’attribuire meriti ad Aracne, a colpire è la lettura femminile della figura, che s’inabisserà per secoli riaffiorando solo alla fine del XX secolo, sempre grazie ad altre donne.

Le ultime donne-ragno

Prima di arrivare alla contemporaneità, va forse sottolineato come il mito riesca a parlare anche della rivoluzione industriale per criticare lo sfruttamento operaio. Avviene grazie a Thomas Carlyle, che in Sartor Resartus (1836) racconta una nuova e terrificante metamorfosi: non c’è più una sola Aracne, ma nella massificazione anonima dei ritmi di produzione esistono ormai molte Aracne senza testa, naso e orecchie; il loro corpo è ridotto alle dita, con cui lavorano ai telai industriali, e alla pancia, con cui consumano i beni prodotti in massa.

'Aracne'. Disegno del XIX secolo

'Aracne'. Disegno del XIX secolo

Foto: Heritage Art / Heritage Images / Cordon Press

Il XX secolo, invece, restituisce un’Aracne donna, o ragno, dai tratti femminili, che lotta per affermarsi e ritrova nell’animale una dolce compagnia. È il caso, per esempio, del racconto omonimo di Giulia Cominito presente in Mitiche (2020), in cui Aracne è sì tracotante, ma anche coraggiosa, e rifiuta che l’arte della creazione le sia stata concessa dagli dèi. Durante la sfida, durata tre settimane, riesce inoltre a produrre una tela meravigliosa malgrado la stanchezza tutta umana, ignota ad Atena. O ancora, il ragno diviene sinonimo di maternità nonché omaggio alla propria madre, alla cura e all’abilità di tessere delle donne nell’imponente e impressionante serie di opere scultoree Maman (1999) dell’artista Louise Bourgeois.

Chissà se, nel tessere le sue trame colorate a Ipepa, la piccola Aracne, ardita e instancabile, aveva già immaginato una tela in cui lei stessa sarebbe divenuta ragno, mentre una sottotrama di scrittori l’avrebbe giudicata con biasimo, e scrittrici e artiste le avrebbero invece riconosciuto il merito di una sfida.

'Maman', opera di Louise Bourgeois a Buenos Aires

'Maman', opera di Louise Bourgeois a Buenos Aires

Foto: Xinhua / Landov / Cordon Press

Per saperne di più
Le metamorfosi. Publio Ovidio Nasone. BUR, Milano, 2016.
Mitiche. Storie di donne della mitologia greca. Giulia Caminito, Daniela Tieni. La Nuova Frontiera Junior, Roma, 2020.

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